22 gennaio 2008

hurricanes



Giornata da dimenticare, per diversi motivi. Non ultimo sapere che il mio uomo oggi ha il morale a terra e sentirmi impotente. Qui, a 300 km di distanza.

Stasera, mentre tornavo a casa dopo il lavoro, ho visto sul metrò una mia compagna delle elementari. Federica B. Non la vedevo da allora. Sono passati più di 20 anni, eppure i lineamenti erano grossomodo gli stessi. Il viso della bambina con cui giocavo nel cortile di scuola, su 1 metro e 65 circa di altezza.

L'ho osservata di sfuggita. Ho cerca
to di scorgere il titolo del libro che stava leggendo, per capire un po' che tipo di persona fosse diventata oggi. Ma non l'ho salutata. Cos'avrei potuto dire di significativo, in qualche fermata di metrò, a una persona che l'ultima volta che mi ha visto, aveva i calzettini corti e il grembiulino bianco? Nulla. Avrei dovuto raccontarle della mia pessima giornata. Chiederle che stesse facendo ora di bello. Lasciarmi andare a tutti quei convenevoli a cui si fa l'abitudine man mano che si diventa grandi. E poi salutarla con un banale "arrivederci...".

Le domande le ho fatte a me stessa invece. Mi sono chiesta cosa fosse rimasto della me di allora. Di quella bambina che giocava sotto gli ippocastani. Se la mia strada, oggi, non fosse già troppo lontana da quel cortile. E mi sono venute in mente le piccole paure che avevo. La timidezza. Le insicurezze, che forse non se ne sono mai andate. E insieme i sogni, la curiosità. La voglia di comunicare qualcosa, il bisogno di lasciare un'impronta. E mi sono accorta che ancora credo in tutto questo come ci credevo allora. Anzi, di più. Perché oggi non funziona come con Babbo Natale. Oggi quelle stesse cose non sono più solo meravigliose e perfette. E, nonostante questo, le amo comunque profondamente.

Poi, a una fermata prima della mia, si è avvicinato un ragazzo. Dalle sue cuffie usciva, inconfondibile, la voce di Dylan. Hurricane. Sono scesa dal metrò e così anche lui. Per alcuni istanti abbiamo camminato vicini. Mentre Dylan cantava, il mio cuore sorrideva e batteva il tempo.

17 gennaio 2008

dig deeper this time


Ho scavato a fondo, come nemmeno credevo di saper fare. Ti ho guardato negli occhi, senza più giochi, nè barriere. Mi sono spogliata di ogni paura. L'anima nuda di fronte alle tue "R".

"O tutto, o niente!" - mi sono detta. Questa volta si gioca duro. Questa è LA volta. Quella che "sei la donna più fottutamente fortunata della terra". Non mi lascerò sfuggire nemmeno una scintilla.

Mi hai visto senza veli. Amazzone bambina con bagagli pesanti a carico. Ti sono entrata dentro. Ho scavato dove non avresti voluto. Eppure mi hai stretta tra le braccia, come una cosa preziosa, dicendo solo: "Non andare via. Stai con me".

Non andrò più in nessun posto, amore.
Non ci sono andata mai prima di te.

7 gennaio 2008

we belong together



Guardarlo dritto negli occhi e sapere esattamente che è Lui e non potrebbe essere nessun altro. Raggomitolarsi contro la sua schiena e ascoltarlo respirare, finché non si addormenta. Desiderare ogni giorno la sua pelle, le sue mani, senza mai saziarsene. Affondare il viso nel suo collo e sentire odore di Casa.

Lavorerò per meritarmi il tuo amore, tesoro.
Qualcosa di così immenso va guadagnato ogni fottuto giorno.